Un blog che fa parte di una "casta di gente di sinistra"
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31/12/07


Il resoconto di fine anno ai tempi del blog

2003: piuttosto bene, avevo vent'anni ed ero un giovinetto felice (?).
2004: sanza infamia e sanza lodo.
2005: con un po' più di infamia e un po' meno lodo.
2006: vissuto talmente di corsa che non sono riuscito a capire se sia stato un anno di merda o meno.
2007: se il 31 dicembre di un anno fa qualcuno mi avesse detto che avrei avuto un anno così, sinceramente, gli avrei riso in faccia per mezza giornata e gli avrei offerto da bere.
2008: meglio? Peggio? Di sicuro ci saranno cambiamenti, e anche di un certo peso. Se saranno positivi o negativi, c'è quella storiella dei posteri e della loro ardua sentenza. Intanto, buon anno a tutti i passanti.




30/12/07


Up and running (mostly running)

Una volta, quando prendevi l'influenza, ti mettevi a letto, la febbre saliva, cercavi di ucciderla con paracetamolo e affini, poi risaliva, poi prendevi un brodino caldo, poi iniziava a passare e, alla fine della fiera, eri fuori uso per una settimana.
Adesso, anche le malattie si sono adeguate ai ritmi moderni: vomito-febbrone-tachipirina-salute_quasi_perfetta nel giro di 36 ore. Hai fretta ma vuoi goderti il delirio da febbre a 39? Influenza Light!




27/12/07


Christmas serendipity

I Natali degli ultimi anni hanno avuto due caratteristiche principali. La prima è la quantità abnorme di vestiti ricevuti (credo sia una maniera carina per dirmi "il tuo guardaroba fa schifo, ti diamo una mano a cambiarlo"). La seconda è che, nonostante il giorno di Natale si prospetti sempre come un'autentica merda, alla fine risulti più che gradevole (giocare a Monopoli con la cuginetta cinquenne ha aiutato notevolmente). 'un ci si può lamentare, 'un ci si.




21/12/07


Miles gloriosus

Primo postulato di evento_casuale_in_cui_devi_fare_qualcosa_di_fronte_a_un_pubblico: la prova generale deve andare male, sempre. Se va male, immancabilmente l'evento_casuale_in_cui_devi_fare_qualcosa_di_fronte_a_un_pubblico si trasformerà nell'opera struggente di un formidabile genio.
Sempre immancabilmente, ieri mattina la prova generale della presentazione della mia tesi di laurea è stata un totale, completo e inequivocabile sfacelo: sforavo coi tempi, mi impappinavo ogni tre parole, ci mancava solo che mi mettessi a sbagliare i congiuntivi per completare l'opera. Cercavo invano di fare il nodo alla cravatta, ignorando che mi ero appena garantito una giornata di gloria.
Corridoio dell'università, verso l'aula della discussione: un gruppo di pinguini in gita mi sorpassa a destra, il gelo che c'è li deve far sentire quasi a casa. Un sacco di facce sconosciute, e un ragazzo che anche lui aveva fatto la laureafinta a Milano, anche lui si era laureatofintamente il mio stesso giorno, anche lui aveva deciso di fare la laureavera a Como. I casi della vita.
Prima presentazione: tizio che prepara settecentoquindici slide fitte fitte e le legge dalla prima all'ultima parola, cambiando di rado qualche congiunzione. Risultato: noia generalizzata nell'uditorio e il presidente della commissione che lo processa sul posto per "eccessivo utilizzo del termine innovativo".
Seconda presentazione: esco, e non riesco bene a capire se sto tremando per il freddo del corridoio o per il nervosismo. Riguardo le slide, e ripenso a un uccellino che mi ha consigliato di "spiegare partendo dalle figure, ché fa sempre colpo". Inverto slide_con_figura e slide_con_chilometrica_spiegazione_della figura, stavolta consapevole dell'ulteriore gloria che me ne sarebbe derivata.
Terza presentazione: tizio che parla di watermarking audio. Mi confesserà poi di essersi un po' vergognato, perché per fare la tesi ci ha messo "meno impegno che per un qualsiasi esame". Sarà, ma il suo lavoro mi è comunque sembrato più meritevole del primo.
La commissione: "facciamo una pausa." (io esulto, visto che toccherebbe a me) "Anzi, no." (bestemmio in ugrofinnico)
Quarta presentazione: il sottoscritto. Avvito il cavo del proiettore con in mente la prima fila che, a un segnale della commissione, mi avrebbe subissato di uova marce. Invece, click. Niente tentennamente, niente incertezze, sguardo dritto verso il pubblico, scioltezza come poche altre volte nella mia vita. E, quando il presidente ha cercato di fare la domanda finale a trabocchetto, l'attacco è stato rintuzzato brillantemente.
Poi i complimenti, quelle braccia gettate al collo, le foto di ogni ordine e grado, le chiacchiere finali in attesa della proclamazione. E infine, dopo chilometrico discorso del preside di facoltà, la passerella finale. 104, senza bacio accademico, ma con esultanza liberatoria.
Partono i festeggiamenti, i cocktail, le birre e i tavoli a geometria variabile. Pensi alla giornata di gloria appena trascorsa e risolvi che sì, questo non è un punto d'arrivo ma un punto di partenza, però ce n'è abbastanza per andare a dormire soddisfatto e sereno. Libero.




17/12/07


I termini sono fatti per essere usati

Di solito funziona così: il pregiatissimo Squonk, attorno al tredici di gennaio, ti manda un'e-mail dicendo "ehi, anche quest'anno c'è il Post sotto l'Albero, accorra numeroso". Tu registri l'informazione e torni tranquillo a fare quello che stavi facendo.
Arriva la primavera, i fiori sbocciano, gli uccellini cinguettano e il suddetto pregiatissimo torna a informarti che "non ha ancora fatto il Post sotto l'Albero, bricconcello, provveda quanto prima". Tu registri l'informazione e torni tranquillo a fare quello che stavi facendo.
Arriva l'estate, vai in vacanza, rientri e il suddetto pregiatissimo ti avvisa che "non mi è ancora arrivato il suo Post sotto l'Albero, la SOLLECYTO con ferma cortesia". Tu registri l'informazione e torni tranquillo a fare quello che stavi facendo.
Arrivano i primi freddi, e poi le prime feste, metti la sciarpa e il cappotto e il suddetto pregiatissimo ti dice "SE NON FAI IL POST SOTTO L'ALBERO TI MANDO A CASA GASPARRI". Tu registri l'informazione e torni tranquillo a fare quello che stavi facendo.
Poi, un giorno prima del termine ultimo, mandi il tuo Post sotto l'Albero al suddetto pregiatissimo. E' un procedimento garantito al 100%.

Per il vostro divertimento natalizio, potete leggere il post mio (a pagina 41), della Fortunata (a pagina 12) e di altri simpatici personaggi in un pratico pdf, gentilmente offerto dalla Spiritum GmbH.




12/12/07


Bomboloni di tutto il mondo, unitevi

Quello che è accaduto oggi davanti alle sedi del Partito Democratico e della RAI è un gravissimo attacco al tessuto politico-istituzionale del nostro Paese. Non è una maniera civile per manifestare il proprio dissenso, le modalità da usare dovrebbero essere ben altre. E' una cosa che mi indigna profondamente, sia come cittadino che come elettore, e penso che tutto l'arco costituzionale dovrebbe associarsi a questa mia indignazione.

Sì, sprecare così tutti quei krapfen alla crema è stata un'autentica vergogna.
Rep.it




05/12/07


Hilsen fra København

(questa l'ho rubata al Mahatma)

Bici, acqua, cuori e luci.
Una delle prime cose che si notano, a Copenhagen, sono le biciclette. E' risaputo che i danesi siano degli aficionados del genere, ma non pensavo al punto di uscire dalla stazione di Nørreport e vedere parcheggiato un unico, enorme ammasso di ruote e pedali.
C'è un sacco di acqua: canali, canaletti, laghetti rettangolari, stretti. A guardare la Danimarca sulla cartina, non realizzi che Copenhagen è su un'isola; vedi un blocco di terre, sopra la Germania, e pensi che sia terraferma. Invece è un arcipelago.
Ci sono cuori dappertutto: cuori appesi sulle vie dello Stroget, cuori disegnati nei supermercati. C'è una vera atmosfera natalizia, nel senso migliore del termine: forse non è vero che "a Natale sono tutti più buoni", ma almeno i danesi ci provano a fartelo credere. Se poi pensi che il frutto più maturo del Natale italiano contemporaneo sono i finti Babbi Natale che si arrampicano sui balconi, il confronto cessa definitivamente di avere senso.
I lampioni illuminano solo per un raggio di un metro scarso e le strade, di notte (quindi, dopo le 16), sono piuttosto scure. Ciononostante, non hai mai la sensazione che, da un momento all'altro, spunti un energumeno vestito da vichingo a portarti via anche le mutande. Saranno le altre luci che vengono dalle finestre delle case, quasi mai dotate di tende, persiane o tapparelle, ma nonostante la penombra Copenhagen ti dà una sensazione di accoglienza e di sicurezza che poche volte avevo visto, nei miei scarsi giri all'estero.

Ci sono anche i contro, certo.
Innanzitutto, il clima. Che non è tanto freddo, in termini di temperatura: il dicembre danese è paragonabile a un gennaio lombardo. Il problema è il vento: in Danimarca non c'è una montagna manco a pagarla, Copenhagen si affaccia direttamente sul mare, fatto sta che tira un'aria spaventosa che, combinata con la pioggia frequente, genera un simpatico effetto "acqua orizzontale" che è esattamente l'ideale per passeggiare. Un consiglio: se volete andare in Danimarca d'inverno, cappello e burro cacao sono una necessità di sopravvivenza.
Poi, il cibo. La verdura non sa di niente (e il fatto che il prodotto principale del banco del fruttivendolo siano delle gigantesche rape non è un punto a favore), la frutta non si è avuto il coraggio di testarla, quando ripieghi sulla pasta (prodotta in Italia e di semola di grano duro, quindi teoricamente a prova di colla) devi cuocerla l'esatta metà del dovuto per ottenere un qualcosa di commestibile. Io, al posto dei danesi, farei delle gran mangiate di pesce, ma loro sono dei feticisti del pane imburrato.
Come ha detto la Fortunata, "Copenhagen, col clima del Portogallo, la cucina italiana e il bidet, sarebbe il posto più bello del mondo". A me già così è piaciuta molto. Al massimo, continuo a portarmi dietro i pacchi di pasta vera, da buon italiano in gita.
strepitupido!




02/12/07


Come pick me up

La paura dell'aereo ai tempi dello sciopero totale globale dei trasporti, passi preliminari:
  • sapere cinque giorni prima della partenza dell'esistenza di suddetto sciopero;
  • fare sacrifici a divinità random perché lo revochino;
  • tirare giù a furia di porconi le sovraccitate divinità random dopo la conferma dello sciopero;
  • fare millesettecentocinquantadue accessi giornalieri al sito di Malpensa per verificare se il proprio volo per Copenhagen è cancellato;
  • ricevere una pratica e-mail la mattina della partenza (fissata per le due del pomeriggio) che informa che il proprio volo partirà con due ore di ritardo.
E fin qui, tutto bene, uno sa che parte due ore dopo e se la prende un po' più comoda. Quindi arrivo a Malpensa tutto contento e aspetto fiducioso di fare il mio bravo check-in, indulgendo leggermente in immagini catastrofiche di aerei spalmati al suolo.
Due ore prima della partenza, ovvero l'orario di apertura prevista del check-in: tutto tace.
Giro per i banchi dell'area indicatami, supero un milione di egiziani in attesa di volare per il Cairo e una solitaria famigliola baltica diretta a Kaliningrad, ma del mio volo nessuna traccia, nonostante il tabellone delle partenze lo riporti trionfante in mezzo a una marea di "Annullato, Annullato, Annullato", quasi tutti Alitalia.
Il tempo passa e tutto tace.
Trovo due anziane signore, anch'esse in procinto di partire per la Danimarca e anch'esse in spasmodica ricerca del check-in.
Il tempo passa e tutto continua a tacere.
A poco più di un'ora dalla partenza, il volo viene anticipato di un quarto d'ora. Ma il check-in non apre. Io e le due signore ci guardiamo sincronicamente con aria molto perplessa.
Quando una di esse placca casualmente tre hostess e si sente dire "Il check-in andava comunque fatto all'orario previsto, a prescindere dal ritardo della partenza del volo", in tre siamo schizzati verso l'ufficio competente [1].
In dieci minuti: litigio con impiegata odiosa ("tanto non vi fanno partire"), preghiere in ugrofinnico al responsabile della compagnia, ringraziamenti al medesimo per la pietà dimostrataci nel farci partire lo stesso, litigio con addetta al check-in della compagnia adiacente, corsa all'accettazione bagagli fuori misura, corsa al gate, cedimento dei muscoli di entrambi i polpacci, corsa all'aereo, enfisema polmonare, partenza.
In tutto questo, della paura dell'aereo non s'è vista traccia [2]. Terrore del decollo? Zero. Terrore del guardare fuori dal finestrino? Zero, anche perché ero lato-corridoio e non vedevo quasi nulla. Terrore dell'atterraggio? Meno trenta (e pensare che era la parte che mi spaventava di più). Terrore che il mio borsone finisse a Johannesburg? Meno sessanta (tempo di recupero bagagli: otto secondi netti).
La Fortunata mi ha visto un po' provato, all'arrivo a Copenhagen. Ma era colpa dei settanta chilometri che separavano la scaletta dell'aereo dall'uscita dell'aeroporto.

[1] Sarò anche stato pirla io ad arrivare dopo, ma le due signore erano lì da ben prima dell'apertura "da orario" del check-in, e non mi sembravano così rincoglionite da non accorgersi di niente per più di tre ore. Mysterium fidei.
[2] Anche grazie alle chiacchiere con le due anziane signore, dalle quali è saltato fuori che:
  • l'Albania, se avesse più infrastrutture, potrebbe essere una splendida meta di viaggio;
  • Berlusconi, amico d'infanzia del marito di una delle due, amava ritrattare le sue dichiarazioni anche quando aveva sette anni e giocava a nascondino;
  • la Statale di Milano ha speso quasi tre milioni di euro per un presunto papiro di duemila anni fa che è probabilmente fasullo.
Wikipedia, strepitupido!, Archaeogate